di Silvia Renda (huffingtonpost.it, 27 giugno 2024)
L’unico obiettivo professionale di Taylor Swift sembrerebbe essere quello di vendere la sua musica. E ci riesce benissimo, riempiendo gli stadi che in tutto il mondo stanno ospitando il suo Eras Tour. A pagare il biglietto per ascoltarla sono tanti, tantissimi. Una massa di persone, che molti si sono convinti possano essere spostati a piacimento della cantante su una posizione politica o un’altra. Non è più – a parere di chi prova a eleggerla rappresentate della propria causa – una semplice artista, ma un’incantatrice di masse, una formidabile arma politica.
Sopravvalutazione? In parte sì, a giudicare da alcuni suoi falliti endorsement. Ma sono indizi ignorati. Se un tempo, a propria discrezione, alcuni neofascisti l’avevano eletta portatrice del pensiero ariano, ora altri suoi fan vogliono che esprima appoggio agli abitanti di Gaza. A tutti i costi, anche se lei non sembra averne la minima intenzione. Sempre più bandiere palestinesi sventolano tra gli spalti durante le sue esibizioni nel tour europeo. Non è ben chiaro chi abbia dato il via al movimento, ma lo scorso mese, dopo l’attacco israeliano a Rafah, l’hashtag #SwiftiesForPalestine ha ottenuto centomila post in un giorno su X.
“Swifties” è il nome con cui i fan di Taylor si sono soprannominati e tra loro sono sempre di più a chiedere insistentemente che la cantante si esprima sul conflitto in corso in Medio Oriente. Ai concerti ora alcuni spettatori indossano la kefiah, altri imbracciano cartelli. «Taylor, prendi posizione» recita uno di questi, apparso su una foto pubblicata on line. La scritta è posizionata all’interno di un cuore contornato da bandiere palestinesi. I sostenitori della cantante durante le sue esibizioni sono soliti scambiarsi braccialetti dell’amicizia, interpretando con il gesto il verso di una sua canzone. Ora su Internet è possibile trovare un tutorial per creare questi bracciali con la scritta «Free Palestine» e «All eyes on Rafah». O anche «Speak now for a Free Palestine»: è un imperativo, devi parlarne.
A ogni tappa, i simboli palestinesi aumentano. Un tentativo di fare pressione sulla cantante, che però non sembra intenzionata ad accogliere la richiesta. Qualcuno se ne dice deluso. «Amo ancora le sue canzoni, penso sia un’artista straordinaria», commenta un fan al Time. «Ma, a questo punto, abbiamo bisogno che parli ora». E ancora: «È davvero frustrante quando ami il lavoro di un’artista che ha un livello di influenza enorme, astronomico, ma non lo usa per distinguersi».
Su X fa eco un altro fan: «L’impatto che Taylor potrebbe avere è pazzesco e non possiamo lasciarlo sfuggire». Abbiamo bisogno che parli, potrebbe avere un impatto pazzesco, la sua influenza è enorme: ne sono convinti, una parola di Taylor Swift può fare la differenza, cambiare la storia. Una pedina da spostare sui vari campi di battaglia. Se non bastasse, come raccontato da David Gilbert su Wired US, «una campagna social filo-Russia ha utilizzato false citazioni di Swift in una serie di post su Facebook e X nel tentativo di alimentare il sentimento anti-Ucraina».
Taylor Swift può davvero cambiare la storia? Non sempre, rivolgetevi ai fan argentini per conferma. Allo stadio di Buenos Aires, lo scorso novembre, i cartelli politici imbracciati dagli spettatori non chiedevano la liberazione della Palestina, ma una sconfitta per Javier Milei. «Noi Swifties non votiamo per Milei», recitavano le scritte di chi, senza sentire il parere della cantante, si era convinto che anche lei avrebbe avversato l’ascesa al potere dell’allora candidato ultraliberista. I risultati alle urne ci raccontano un finale per loro deludente. E non è un caso isolato. L’indiscusso soft power di Swift ha effettivamente dato prova di riuscita anche politica.
Nel 2018 la cantante prese per la prima volta una posizione politica pubblica, opponendosi alla candidata repubblicana al Senato Marsha Blackburn nel suo Stato d’origine, il Tennessee, contribuendo a innescare un picco nelle registrazioni di giovani elettori alle elezioni di metà mandato degli Stati Uniti di quell’anno. I suoi trascorsi politici «mi sconvolgono e mi terrorizzano», spiegò la cantante a motivazione della scelta, facendo riferimento alle sue posizioni su parità di retribuzione, violenza contro le donne e diritti dei gay. Ma i discorsi accorati non smossero voti a sufficienza: Blackburn vinse le elezioni.
La presa di posizione del 2018 fu un punto di svolta nella carriera di Swift, che in passato non si era mai esposta pubblicamente su questioni politiche. In ogni caso non erano mancati anche allora gli interpreti del Swift-pensiero, che veniva collocato però su posizioni diametralmente opposte a quelle lasciate poi intendere dalla cantante stessa. Nel 2016, un articolo di Vice titolava: «I nazisti considerano Taylor Swift una regina del pop ariana». A loro parere, la cantante stava subdolamente trascinando l’America in una guerra razziale attraverso i suoi successi pop. Secondo questa teoria del complotto, segretamente era una nazista che «sta semplicemente aspettando il momento in cui Donald Trump le renderà sicuro uscire allo scoperto e annunciare la sua agenda ariana al mondo. Probabilmente, sarà fidanzata con il figlio di Trump».
Un gruppo su Facebook chiamato “Taylor Swift for Fascist Europe” contava diciottomila iscritti. Col tempo lei stessa ha chiarito che con il tycoon non aveva proprio nulla a che fare. In un documentario del 2020 affermava di aver deciso di opporsi pubblicamente al repubblicano, nonostante il rischio per la sua carriera. E allora i complotti sono cambiati: la sinistra americana la starebbe usando per influenzare le elezioni presidenziali statunitensi del 2024. A Joe Biden non resta che sperare di essere più fortunato dell’avversario di Milei.