di Eugenia Nicolosi (alfemminile.com, 8 dicembre 2022)
La ricerca I ragazzi e il cyber bullismo, fatta da Ipsos per Save the Children, fotografa i social network come “la modalità d’attacco preferita dai cyber bulli”. Sì, perché la possibilità di dire o scrivere apertamente ciò che si pensa al riparo di uno schermo solletica la natura violenta (e misogina e razzista) di persone codarde e che hanno la tendenza a comportarsi da bulle.
Abbiamo visto nei mesi scorsi come anche alcune celebrità hanno incitato alla violenza non solo i loro sostenitori e followers, ma anche i giovani utenti suscettibili, sulla base della convinzione che il diritto alla libertà di parola venga costantemente violato nel nome del politically correct, quindi per bilanciare l’ambiente promuovono l’hate speech e irridono spazi politici femministi e antirazzisti. La combinazione di violenza e potere è la colonna portante di un sistema (quello in cui viviamo) che richiede agli uomini continue prove di mascolinità, prove che si danno esercitando violenza e potere. La convinzione che debolezza sia il contrario di potere spinge molte persone, molti uomini, a osservare la cultura del controllo che, se tra le mura domestiche si traduce in comportamenti discriminatori verso la partner e nei casi estremi nei femminicidi, nella sfera pubblica si manifesta più come fanatismo. I social media, in tal senso, hanno solo fatto da megafono a pensieri e parole (d’odio) che esisterebbero comunque.
Dall’inizio dell’autunno il rapper Kanye West, noto anche come “Ye”, ha diffuso contenuti antisemiti (forse negazionisti) su Instagram e Twitter postando una foto della Stella di David fusa con la svastica e elogiando Adolf Hitler perché in lui vede “cose buone”, ha detto che la morte di George Floyd è stata causata da un’overdose di Fentanil, ha criticato il movimento Black Lives Matter indossando la maglietta White Lives Matter (?!), ed infatti è stato mollato dai suoi sponsor (Adidas e Balenciaga su tutti). Molti fan hanno accennato al disturbo bipolare di Ye per giustificare le sue dichiarazioni violente su persone razzializzate e, alla radio SiriusXM, il conduttore Howard Stern ha prontamente replicato “Se è così malato di mente perché non lo affidano a un curatore come hanno fatto con la povera Britney Spears?”, segnando un punto sul tabellone del sessismo: storicamente, le celebrità maschili sono molto più libere delle donne. Comunque sia, West è stato bandito da Twitter e da Instagram.
Nel frattempo, accade che Elon Musk ha acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari. E ora che controlla l’app ha pubblicamente parlato della sua intenzione di limitare la censura, mentre lo spazio ha già toccato il suo picco massimo di violenza on line. Infatti, il ban riservato al rapper Ye (che di Musk dice che “è un ibrido genetico mezzo cinese”) per “incitamento alla violenza è stato di appena 12 ore. In uno scambio di battute pubblico travestito da rimbrotto, Musk si è rivolto al rapper precisando che una foto di lui che subiva un gavettone su uno yacht andava bene, riferendosi all’ultimo tweet di Ye, ma l’immagine antisemita no. Inoltre, come aveva annunciato che avrebbe fatto prima dell’acquisto, Musk ha deciso di riammettere Donald Trump su Twitter dopo un assurdo referendum (sempre su Twitter) durato appena 24 ore. L’ex presidente Usa era stato bannato in seguito all’assalto del Campidoglio degli Stati Uniti nel gennaio del 2021.
L’intera faccenda cosa racconta se non che alcune persone sono libere di reintegrarsi nonostante siano evidentemente violente e che – grazie a amicizie, denaro e potere – possono attuare comportamenti devianti e violenti, ottenendo solo piccoli rimbrotti? Non solo, alcuni di loro letteralmente posseggono spazi nati per essere democratici ma che sotto la voce democrazia oggi, sotto la loro amministrazione, si trova un comma dedicato alla presunta libertà di parola che però è una parola razzista, misogina, bigotta. Insomma le convinzioni di pochi diventano vox populi per via della mentalità dominante da “follow the leader” tipica dell’era social. Il tema è che il leader, quale che sia, esprime opinioni sempre più estreme dando legittimità alle opinioni altrettanto estreme e altrettanto bigotte di folte schiere di maschi alfa che si sentivano minacciati dal politicamente corretto.
L’influenza e il reale impatto che possiedono persone come West, Musk e Trump solleva il vero problema con la mascolinità tossica applicata ai social media: xenofobia, sessismo e odio diventano opinioni legittime che fomentano chi già assume posizioni discriminatorie verso donne, persone queer o trans e persone razzializzate. Ma che senza questi leader avrebbe avuto pudore nel farlo. Convogliare i risparmi di una vita nell’acquisto di un’auto sportiva, magari rossa, fa tanto anni Novanta. L’uomo in crisi di mezza età di oggi spende 90 milioni di dollari in un simbolo fallico da lanciare nello spazio. “Vogliamo una nuova corsa allo spazio”, ha dichiarato Elon Musk, in questo caso in veste di fondatore di SpaceX, poco dopo il lancio del razzo Falcon Heavy (contenente una Tesla Roadster). Con lo stesso entusiasmo di un bambino ha continuato con allegria a parlare di quanto “sono eccitanti le gare spaziali”. Musk comunque non è l’unico miliardario a voler partecipare alla corsa al dominio dell’universo: Jeff Bezos di Amazon ha la sua azienda aerospaziale privata, Blue Origin, mentre Richard Branson di Virgin ha creato Virgin Galactic (nel 2004).
Questi uomini, in particolare Musk, non solo sono fortemente interessati a capire chi riuscirà a portare per primo il proprio razzo nello spazio, ma anche a capire chi riuscirà a colonizzare Marte. Il desiderio di colonizzare – avere un accesso libero, incontrastato e automatico a qualcosa, a qualsiasi tipo di corpo o spazio, e usare quel potere a loro piacimento – è un filino figlio della cultura patriarcale. E a ben guardare, tra questi miliardari non c’è alcuna considerazione di natura etica circa l’opportunità di farlo o meno. Piuttosto, la conversazione verte sul momento in cui lo si farà. Perché, nella versione di questi intrepidi esploratori, colonizzare Marte è l’unico modo per salvare l’umanità. È la stessa forza istintiva che insegna agli uomini che ogni cosa – e ogni persona – che si trova nel loro campo visivo è una loro possibile proprietà, la stessa forza che li legittima a pizzicare i sederi di estranee, commentare il fisico delle colleghe e condividere nella chat del calcetto le immagini intime di partner sessuali.
“Voglio essere chiaro, penso che dovremmo essere una specie multi-pianeta, non una specie monopianeta su un altro pianeta”, ha detto Musk al 2015 Vanity Fair New Establishment Summit. “Che tipo di futuro volete avere? Volete avere un futuro in cui saremo per sempre confinati su un solo pianeta o uno in cui saremo su molti pianeti?”. Questo atteggiamento colombiano – mescolato a una lungimiranza commerciale e a un’etica imperialista – è accompagnato da un approccio benevolente tipico del “buon patriarca”: Musk non vuole colonizzare Marte per soddisfare il suo ego, no. Lui vuole colonizzare Marte per salvarci. Il fine giustifica i razzi. “Penso davvero che ci siano due strade fondamentali [per gli esseri umani]: una è quella di rimanere sulla Terra per sempre con un evento di estinzione che ci spazzerà via”, ha detto.
In questo senso, colonizzare Marte è una “polizza di assicurazione sulla vita collettiva”. Anche se, considerando gli ultimi 500 anni di colonizzazione solo su questo pianeta, ci si potrebbe chiedere le vite di chi, secondo Musk e altri ricchi uomini bianchi come lui, valgano la pena di essere assicurate. Ma ancora una volta, questo impulso a partecipare alla “gara spaziale” non è l’incarnazione dello spirito imprenditoriale americano e non è nemmeno guidato da quel fervore nazionalista della Guerra Fredda che ha ispirato la creazione del programma spaziale Usa degli anni Cinquanta. Piuttosto, l’impulso a colonizzare – terre, popoli e ora lo spazio – origina nelle strutture di potere legate ai ruoli di genere. Il diritto maschile al potere, al controllo, al dominio e alla proprietà, a usare e ad abusare di qualcosa/qualcuno e poi andarsene per conquistare e colonizzare qualcosa/qualcuno di nuovo. Esattamente come abbiamo fatto, replicando questa dinamica di potere, con la Terra: ora che l’abbiamo devastata ce ne andiamo.
Il venerdì precedente il lancio di SpaceX l’astronauta Buzz Aldrin ha detto che è opportuno parlare di esplorazione spaziale in termini di migrazione, piuttosto che in termini di colonizzazione o insediamento. Attraverso una lente femminista, la precisazione di Aldrin ha rivelato una realtà: questa forma di imperialismo contemporaneo è il risultato diretto della rinuncia degli uomini al recupero del pianeta che hanno quasi distrutto. È del privilegio dell’indifferenza. Come direbbero senza mezzi termini le eco femministe, lo stupro della Terra e il suo saccheggio, e il caos ambientale che ciò ha scatenato, sono parte integrante del processo di colonizzazione. E a dirla tutta il legame tra i trattamenti riservati dalla Madre Terra e alle donne è più che simbolico: il cambiamento climatico colpisce le donne più degli uomini.
“Le donne dei Paesi in via di sviluppo sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici perché il loro sostentamento dipende prevalentemente dalle risorse naturali locali”, si legge in un rapporto delle Nazioni Unite del 2013. “Le donne incaricate di assicurarsi acqua, cibo e materie prime per cucinare e riscaldarsi affrontano le sfide maggiori. Le donne hanno un accesso diseguale alle risorse e ai processi decisionali, con una mobilità limitata nelle aree rurali”. Ciò significa che mentre gli uomini competono tra loro per stabilire quale sia il razzo più grande (la metafora si spiega da sola) e mandano i loro giocattoli a diventare rottami, le donne di tutto il mondo lottano per non essere uccise, stuprate, per il diritto alla libera maternità, contro il gender gap e per l’acqua potabile. Secondo i ricercatori non solo le donne hanno generalmente una maggiore coscienza ambientale quando si tratta del pianeta in cui viviamo, ma gli stessi ricercatori hanno trovato un collegamento tra l’insicurezza degli uomini riguardo alla loro mascolinità e la loro mancanza di coscienza ambientale e di etica.
A quanto pare, nel pieno della replica dei ruoli di genere in casa, anche la cura del pianeta è percepita come un’attitudine “femminile”; mentre la psicologia della mascolinità tossica si riversa sulla noncuranza generale, in modo particolare per l’ambiente. Fa figo essere disordinati, insomma. Questa insicurezza maschile che si traduce in celolunghismo è presente ovunque nella cultura occidentale e, sempre più spesso, nella politica. Lo stesso Trump si è espresso sulla necessità che la bomba nucleare americana fosse la “più grande e più potente” e spesso lo si becca a vantarsi del “bellissimo”, “grande, grande” muro che ha fatto costruire al confine con il Messico.
E in questo momento c’è un manichino che occupa il lato guida di una Tesla (decappottabile e rossa?) che vola nello spazio, lontano da eventi climatici estremi, dal cataclisma prodotto dall’uomo sulla Terra e dalla vernice di una statua in metallo alta dieci metri che ritrae Elon Musk con il corpo di una capra a bordo di un razzo, al quartier generale della Tesla a Austin, in Texas. Costo della statua 600mila dollari. Ma non è chiaro se lui ne sia al corrente. Durante la sua prima settimana da proprietario di Twitter, Elon Musk (oltre 120 milioni di follower) ha twittato ogni genere di contenuto, dall’idea di mettere cocaina nella Coca-Cola a un’immagine di Bill Gates (che ha un po’ di pancia) accanto all’emoji di un uomo in gravidanza con la didascalia “Nel caso in cui si abbia bisogno di perdere velocemente l’erezione”. Ha anche twittato che “I pronomi fanno schifo “ e cose misogine alla senatrice Elizabeth Warren, ma il più inquietante dei tweet cancellati era uno “scherzo” circa una nuova ipotetica università fondata da Musk stesso in cui i diplomi sarebbero stati assegnati in base alle caratteristiche fisiche delle donne.
L’aumento degli autoproclamati maschi alfa potrebbe non essere necessariamente legato all’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk. Però è più o meno da allora che molti account si sono presentati con la dicitura “maschio alfa” nel nome utente o condividendo post sul tema. Non è un segreto che molti uomini non vedevano l’ora di veder tornare il mito della mascolinità alfa (mentre altri considerano questo tipo di mascolinità tossico e basta). Chi è favorevole alla divisione dei ruoli di genere e quindi apprezza la tendenza alla supremazia maschile “da maschio alfa” tende anche a rifiutare tutti quei comportamenti che vengono considerati poco virili, come per esempio essere premurosi con la partner, esprimere emozioni o essere empatici verso persone, animali, piante (le orde di sedicenti “alfa” su Twitter sono ovviamente orgogliosamente eterosessuali).
Un tweet di @BecomeAManAgain (e già il nome utente è un programma) è diventato virale ed è abbastanza esplicativo:
Maschio beta: “Allora, dove vuoi andare?”.
Maschio alfa: “Avrai la migliore serata della tua vita. Ci vediamo alle 21. Indossa quel vestito rosso attillato”.
Ed è solo uno dei tanti che incoraggiano comportamenti tossici e invitano alla gerarchizzazione tra uomini sulla base della mascolinità. L’account @MessiahOfMan ha recentemente pubblicato le “10 leggi” su come essere un uomo alfa, leggi che includono: “Parla con integrità, spettegolare è da femmine”, oltre all’imperativo di essere ricchi, di fare palestra e di avere “una famiglia felice”. Il thread ha raccolto centinaia di condivisioni e like. Lo scrittore (conservatore) Nick Adams ha contribuito alla vulgata, offrendo una descrizione della differenza che c’è o che dovrebbe esserci tra un maschio alfa e uno beta. “I maschi alfa mangiano ali di pollo e bevono birra da Hooters con altri maschi. I maschi beta sgranocchiano tapas nei caffè vegani spagnoli con le loro mogli” ha twittato Adams, il cui nickname include la dicitura “maschio alfa” e “autore preferito di Donald Trump”.
Il suo punto di vista sembra essere che un gruppo di uomini che cenano con pollo fritto e birra serviti da donne seminude (Hooters è una catena di ristoranti famosa per le dipendenti donne cui viene imposto un abbigliamento sexy) sia una caratteristica maschile, mentre un pasto più sano con la propria moglie non lo sia. Adams è stato raggiunto (on line) da una ex cameriera di Hooters che gli ha detto che il comportamento da lui descritto come alfa è invece considerato beta da chiunque lavori o abbia lavorato in quei ristoranti. Altri maschi alfa spingono affinché Twitter diventi “più alfa” nelle sue policy sperando in un risveglio di coscienza all’indomani dell’acquisizione da parte di Musk. Uno di questi account, in risposta a un Tweet di Musk, gli ha intimato di “non fidarsi” di Yoel Roth (ex direttore della sicurezza di Twitter) dal momento che in passato Roth ha scritto tweet femministi.
Ma il momento più divertente del nuovo regno dei “maschi alfa” su Twitter è stato scatenato da Jason Momoa. Anzi, a voler essere precisi, il momento più divertente del nuovo regno dei maschi alfa su Twitter è stato scatenato da un videogioco. L’account ufficiale di PlayStation Australia ha twittato una gif di Kratos, il protagonista del gioco God of War Ragnarök, che replica una clip di Jason Momoa che ha messo le mani a forma di un cuore. Non è chiaro se giocare ai videogiochi sia un’attività alfa o beta, ma un dio della guerra che fa i cuoricini con le mani è senza dubbio poco virile e offensivo verso i maschi alfa. Un account ha accusato PlayStation di aver commesso il peccato di “babygirlficazione” (da “baby girl”: femminuccia) di Kratos e un altro si è lamentato scrivendo “grazie per avermi rovinato Kratos”. Insomma, tutto a posto.