di Cesare Catà (huffingtonpost.it, 9 settembre 2022)
L’8 settembre del 2022 Elisabetta II del Regno Unito, sovrana di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e del Commonwealth, non è morta. Perché i re non muoiono. Muore, certo, il loro corpo mortale, ma loro hanno un secondo corpo, un corpo mistico e immateriale che passa di regnante in regnante eternamente. Si tratta di un’antica teoria teologico-politica, che poi lo storico Kantorowicz avrebbe messo al centro di un suo saggio divenuto classico: la teoria dei due corpi del re. Quella del re è una figura sacra perché, al di là delle sue spoglie mortali, possiede un corpo di diversa natura, una dignitas ultraterrena, un’aura che fa di lui o di lei una creatura divina, al di là dei tempi. A una lettura superficiale potrebbe sembrare il retaggio di antiche superstizioni medievali. Ma, in realtà, nel cuore della cultura inglese e perciò europea, persiste questa idea: non c’è kinghsip, non c’è regalità, senza sacralità.
E tale sacralità consiste precisamente nel corpo mistico che il sovrano cela sotto il proprio corpo marcescibile. Questo è vero in maniera eminente per Elisabetta II. Giacché, dietro il volto e il fisico di questa persona – una ragazza finita sul trono per giochi di successione inaspettati, la quale mai avrebbe pensato né voluto reggere lo scettro del Regno, amante dei cavalli, delle passeggiate e dei cani, pia e tranquilla, volitiva e pratica, la quale nella vita avrebbe desiderato sopra ogni altra cosa essere una serena nobildonna di campagna – si rivela il profilo eterno di una sovrana divenuta leggenda. E non solo per la durata cronologica eccezionale del suo regno, più lungo di quello di Vittoria e di poco più breve di quello di Re Sole; ma anzitutto per come la figura mite e ferma, sacra e savia di questa donna-regina ha attraversato il XX secolo e il XXI segnando la nostra era.
L’ultima Regina Sacra
Da Churchill a Liz Truss, dal Dopoguerra agli anni dei Lockdown, passando per la decolonizzazione, la devoluzione, le contestazioni e le rivoluzioni che hanno mutato il volto della società europea forgiando l’attuale società globale-digitale, Elisabetta II del Regno Unito è stata an ever-fixed mark That looks on tempests and is never shaken, per dirla con i versi del Sonetto 116: “il faro inamovibile che scruta la tempesta e non ne viene scosso”. Sarà interessante capire, per i sociologi e i filosofi che analizzeranno i fenomeni psicosociali di questi nostri anni, come mai in un mondo che si è andato progressivamente desacralizzando, disincantando, secolarizzando, una figura come quella della Regina d’Inghilterra, con tutto il suo portato simbolico, non soltanto sia rimasta nel pieno dei suoi poteri e delle sue funzioni, ma addirittura sia venuta crescendo progressivamente nei consensi e nell’amore dei suoi sudditi e, in generale, nella popolarità mediatica del pianeta. In questa donna attaccatissima alle tradizioni, ma capace di dialogare di volta in volta con il cangiante Spirito del Tempo, non è venuto mai meno il senso ieratico del suo ruolo.
Fin dal discorso in cui, giovanissima, si presentava al suo popolo, ha sempre interpretato l’essere-regina nel suo carattere mistico. A chi negli ultimi anni le suggeriva (non pochi) che sarebbe stato più opportuno dimettersi per non caricarsi di troppe fatiche, dato il sovranzare della vecchiaia, lei ha sempre risposto che il ruolo di re non prevede abdicazione. Proprio lei, che sul trono non doveva finirci e ci finì per il famigerato atto di rinuncia di suo zio Edward (Edoardo VIII per qualche mese), credeva che un sovrano è scelto da un disegno più alto di quello umano. Not all the water in the rough rude sea Can wash the balm off from an anointed king: “Neanche tutta l’acqua del mare violento può lavare l’unzione dalla fronte del re designato”. Elisabetta II, in un’era nella quale anche i capi religiosi si sono ridimensionati a sostituibili facenti funzione di burocrati-reggenti, è stata l’ultima traccia di potere sacro per le strade dell’Europa.
Il peso della Corona (letteralmente)
Eppure è stata tutt’altro che una donna intellettuale, presa da pensieri mistici o sovrannaturali. Al contrario, forse, la chiave della sua grandezza leggendaria come sovrana attraverso i tumultuosi decenni che ha vissuto è stata proprio un’accorta concretezza. In un recente servizio televisivo, in occasione dell’uscita della celebre (e meravigliosa) serie tv che narra la vita della sovrana, l’intervistatore chiede alla Regina quale sia il peso della Corona. La Corona, the Crown, è un simbolo dai profondi valori storici, religiosi, antropologici, attorno al quale si muove l’intera storia inglese, e non a caso è assurto a titolo della fiction che racconta di Elisabetta II. La risposa della sovrana lascia completamente spiazzato il giornalista: lei comincia a spiegare il materiale di cui la Corona è composta, quanto sia faticoso tenerla in testa, come essa sia stata forgiata, in che maniera venga custodita. Neanche un accenno a quel portato culturale che l’intervistatore aveva in mente.
Ovviamente, non è che la Regina non avesse capito la domanda o volesse sviare la risposta. Semplicemente, parla di ciò che considera preminente: l’oggetto in sé. Lei, esperta di motori e di equitazione, poco avvezza al mondo intellettuale, ha sempre letto il mondo così: con la lente di concretezza di una donna la cui forma mentis è pratica, operativa. Anche se negli anni ha certamente acquisito consapevolezza e un’attenta cultura politico-giuridica, ciò che forse le ha permesso di tenere testa ai giganti del mondo, di fronteggiare con salda intelligenza e cura le tragedie private e pubbliche che rischiavano ogni volta di spazzarla via, è stata questa concreta capacità analitica, in fondo così agreste, la quale è probabilmente il tratto dominante della sua personalità.
La nostra era, Seconda Età Elisabettiana
Quando questa storia, che si chiude l’8 di settembre del 2022, ha preso avvio, Sir Winston Churchill, forse presentendo col suo solito acume inconfondibile ciò che sarebbe avvenuto, ebbe a parlare, in occasione di una delle prime uscite pubbliche della Regina, di “una seconda Età Elisabettiana”. In effetti, nel Regno più duraturo della tradizione monarchica britannica, il mondo sarebbe mutato più volte, mostrando una svolta decisiva per l’umanità proprio come era accaduto nel periodo di Elisabetta I. Questa metamorfosi del mondo postmoderno, non priva di tratti mostruosi, si sarebbe svolta sotto gli occhi chiari di “Lilibeth”, la giovane donna inesperta e incolta che saliva al trono.
Forse soltanto Sir Winston, all’inizio, sapeva con certezza quello che poi la storia avrebbe sancito: lei era the Anointed Queen, la sovrana designata dal fato. Quella ragazza sarebbe stata all’altezza del suo destino. Con un amore fermo al suo fianco, l’indimenticato Filippo, metà della sua anima, sarebbe riuscita in quella complessa arte dell’agire sottraendosi che si richiede a una sovrana. Unendo il coraggio, l’umiltà, la saviezza e la devozione assoluta al suo ruolo e al suo popolo, sarebbe divenuta ciò che era destinata a essere. Una Regina. Nella fattispecie, una leggenda. Elisabetta II.